LA NATURA COME CONTEMPORANEITA’
Le fotografie di Marcello Vigoni possiedono la singolare caratteristica di essere marcatamente contemporanee nel linguaggio senza per questo negare gli elementi di una classicità che emerge da una precisa consapevolezza concettuale prima ancora che compositiva resa ancora più rigorosa dall’utilizzo del bianconero. Di fronte a questi risultati bisogna abbandonare la tentazione di chiedersi dove le fotografie sono state scattate e qual è il soggetto ripreso perché l’autore non ci ha portato in qualche luogo preciso ma nella sua – e un po’ anche nella nostra – mente. Marcello Vigoni fa un uso sapiente della dimensione del surrealismo come è evidente in un’opera che si rivolge all’osservatore in un dialogo serrato dove la domanda se a essere ripresa è una grande cassettiera da archivio o il paesaggio naturale che gli si sovrappone non pretende, come già spiegato, una sola risposta. Meglio, infatti, socchiudere gli occhi e lasciare che sia la fantasia a suggerirci di trovarci nell’archivio dei sogni e che quell’albero imponente sia forse saltato fuori da uno dei cassetti e quelle nuvole bianche siano sfuggite dalla fessura di un altro.
I paesaggi montani sono una costante ma quasi mai compaiono come tali, sono piuttosto proiezioni piene di fascino che si ritrovano su pareti, facciate di case, muri sulle cui superfici vissute confondono il loro plastico inseguirsi di vette, canaloni, vallate. Più si avanza nel percorso immaginifico costruito labirinticamente da Marcello Vigoni più si scoprono improvvise presenze cariche di rimandi simbolici, metaforici, onirici: ci sono finestre inchiavardate nel celo, porte chiuse, specchi emblematici, oblò che invitano a guardare verso chissà quale oltre. Anche gli oggetti compaiono improvvisi come in un teatro dell’assurdo: un ombrello mezzo aperto allude alle ali – che ali non sono – di un pipistrello, un abito si agita nel nulla, un telefono a gettoni sembra chiedersi se abbiamo ancora voglia di utilizzarlo, un orinatoio non sembra aver voglia di giocare con Duchamp
Roberto Mutti